Tumori della tiroide

I tumori tiroidei sono le neoplasie maligne più comuni del sistema endocrino e anche in Italia sono tra i tumori più frequentemente diagnosticati nella popolazione. Secondo dati statunitensi che fanno riferimento al periodo 2014–2018, il tasso annuo di nuove diagnosi di carcinoma della tiroide è di 15,5 casi ogni 100.000 persone.

Frequenza e incidenza dei tumori tiroidei

Queste neoplasie sono all’incirca 3 volte più frequenti nelle donne che negli uomini; in Italia, ad esempio, il carcinoma tiroideo è il secondo tumore più frequente dopo il carcinoma della mammella nelle donne giovani (<40 anni). I tumori tiroidei possono insorgere a tutte le età ma sono più frequentemente diagnosticati negli adulti di età compresa tra i 45– 54 anni.

L’incidenza di questi tumori è costantemente incrementata nelle ultime tre decadi (tra le forme differenziate, soprattutto quella del carcinoma papillare), anche in possibile relazione ad una aumentata diagnosi legata ad un affinamento delle tecniche diagnostiche e ad una maggiore disponibilità territoriale degli strumenti di diagnosi.

Tumori tiroide: la prognosi

Nonostante l’aumento dell’incidenza, fortunatamente la mortalità è rimasta stabile o addirittura leggermente diminuita. Infatti, la prognosi del tumore tiroideo è buona: il tasso di mortalità è inferiore al 2%, con differenze significative tra i diversi istotipi tumorali. In Italia la sopravvivenza netta a 5 anni dalla diagnosi è stimata essere del 90% nei maschi e del 95% nelle femmine.

Anatomia patologica dei tumori tiroidei

I tumori che possono insorgere nel contesto della ghiandola tiroidea sono storicamente classificati in base alle cellule da cui si sviluppano:

  • carcinomi ad origine dalle cellule tireocitarie (cellule dei follicoli tiroidei)
  • carcinomi ad origine dalle cellule parafollicolari o cellule C (cellule presenti nel contesto della ghiandola tiroidea responsabili della produzione di calcitonina), cioè i carcinomi midollari.

Oltre a questi, vanno citati altri tumori quali ad esempio i linfomi primitivi della tiroide, piuttosto rari, che originano dalle cellule linfocitarie presenti nel contesto della ghiandola, oppure le metastasi tiroidee da tumori primitivi di altri organi, anch’esse piuttosto rare.

I carcinomi ad origine dalle cellule tireocitarie (follicolari) si suddividono, in base al grado di differenziazione (cioè in base al livello di “somiglianza” con la cellula tiroidea non tumorale), in:

  • neoplasie ben differenziate (carcinomi differenziati della tiroide), costituite da cellule tumorali che mantengono caratteristiche “simili” alla cellula tiroidea normale: rappresentano circa il 90% delle neoplasie maligne della tiroide; di questo gruppo fanno parte il carcinoma papillifero (85% dei casi), il carcinoma follicolare (10% dei casi) e il carcinoma a cellule di Hürthle (3%) [i]. Nell’ambito dei carcinomi papilliferi, vengono descritte multiple varianti ad atteggiamento più aggressivo (ad esempio la variante tall cell o quella a cellule hobnail, ecc.);
  • neoplasie scarsamente differenziate: una categoria intermedia tra i tumori differenziati e quelli anaplastici; costituiscono circa l’1% delle neoplasie tiroidee;
  • neoplasie indifferenziate, cioè tumori le cui cellule hanno perso gran parte delle caratteristiche delle cellule tireocitarie da cui originano: vengono definiti carcinomi anaplastici della tiroide e sono tumori aggressivi con un tasso di mortalità molto elevato.

Una recente classificazione dei tumori differenziati della tiroide, elaborata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel 2017, si basa sulle caratteristiche genetiche e molecolari di queste neoplasie [ii]. In questa classificazione viene introdotto il così detto Encapsulated Non-invasive Follicular Papillary Thyroid Cancer variants (NIFTPs), un tumore non invasivo e a basso potenziale di malignità; costituisce il 20% dei casi di carcinomi tiroidei [iii]  e ha una prognosi eccellente.

La sintomatologia

I carcinomi differenziati della tiroide sono spesso asintomatici e almeno il 50% dei noduli maligni vengono diagnosticati durante visite cliniche di routine, come reperti occasionali emersi in corso di esami strumentali (ecografie, TC, RM, PET, etc) o a seguito di chirurgia tiroidea per una patologia benigna.

Quando presenti, i segni e sintomi che devono indurre ad inviare il paziente ad accertamento specialistico possono essere la presenza o insorgenza di tumefazioni del collo, i disturbi della fonazione, la paralisi di corda vocale o i disturbi della deglutizione. Devono inoltre essere considerati anche  i sintomi di tipo generale, sia nel segno dell’ipofunzione (astenia, bradicardia, senso di edema generalizzato, senso di freddo) che della iperfunzione tiroidea (tachicardia, ipertensione arteriosa, dimagrimento, ansia, eccitabilità), meritevoli comunque di valutazione approfondita.

La terapia

L’intervento chirurgico (tiroidectomia con eventuale linfadenectomia, cioè l’asportazione della ghiandola, associata o meno all’asportazione dei linfonodi del collo) è il trattamento principe, da associare in particolari casi valutati dallo Specialista a terapia radiometabolica con 131Iodio, che sfrutta la somministrazione di iodio radioattivo per “uccidere” gli eventuali residui tumorali. Per i casi di recidive e/o di iodo-refrattarietà, attualmente sono disponibili anche altre opzioni terapeutiche, quali ad esempio l’uso di farmaci anti-angiogenetici, che inibiscono la crescita dei vasi sanguini intorno al tumore, impedendone la crescita.

Esami di laboratorio

Le malattie della tiroide, così frequenti nella pratica clinica, possono essere rilevate anche precocemente (diagnosi e/o prevenzione) e monitorate nel tempo con esami laboratoristici effettuati su un prelievo ematico.

Quali sono i parametri più frequentemente valutati:

  • il TSH (ormone tireostimolante), un ormone ipofisario che stimola la tiroide a produrre gli ormoni tiroidei;
  • l’FT3 (triiodotironina libera) e l’FT4 (tiroxina libera), che sono gli ormoni tiroidei;
  • la TG (tireoglobulina);
  • gli AB ANTITG (anticorpi antitireoglobulina); gli AB ANTITPO (anticorpi anti- perossidasi tiroidea); i TRABS (anticorpi anti recettore del TSH)
  • la CT (calcitonina)
  • la VITAMINA D3 (25-OH).

Il dosaggio degli ormoni specifici e del TSH risulta essere uno tra gli indicatori più sensibili negli stadi di ipotiroidismo o di ipertiroidismo anche in quadri clinici di modesta entità.

Ipotiroidismo, ipertiroidismo e neoplasie tiroidee

In caso di ipotiroidismo, sospetto o già diagnosticato, abitualmente vengono dosati: TSH, FT4, FT3 e, nel sospetto di una tiroidite di tipo autoimmunitario, si aggiunge il dosaggio degli autoanticorpi antiTG, e antiTPO.

Nel sospetto di un ipertiroidismo è opportuno eseguire, oltre ai dosaggi ormonali (FT3 e FT4) e al TSH, anche la ricerca degli autoanticorpi antiTG, antiTPO e TRABS.

La TG (tireoglobulina) e la CT (calcitonina) sono, invece, utili indicatori delle neoplasie tiroidee, come markers rispettivamente dei carcinomi differenziati della tiroide e dei carcinomi midollari (sia nelle forme sporadiche sia nelle forme familiari).

Controllare la funzionalità paratiroidea

Nella gestione clinica è importante valutare, oltre alla funzionalità tiroidea, anche il metabolismo osseo, studiando la funzionalità paratiroidea tramite il dosaggio dosaggio del PTH (paratormone), della calcemia, della fosforemia e della vitamina D3 (25-OH). Quest’ultimo dosaggio, in particolare, appare di fondamentale importanza per valutare le condizioni dello stato generale essendo la Vitamina D implicata, non solo nella regolazione minerale di cartilagini e ossa, ma anche del metabolismo di molti altri organi e apparati quali ad esempio stomaco, cervello, reni, fegato e polmoni ed essendo un potente modulatore del sistema immunitario.